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OMBRE LUNGHE…

16 Ottobre 2006. Mc Murdo, Antarctica

Ore 18.00 locali, il portellone del C17 della U.S AIR FORCE si apre inondando il buio ventre dell’aeromobile di una luce bianca e intensa, penetrante, che non lascia dubbi sullo scenario che ancora si deve presentare. A bordo, i circa 100 ricercatori, logisti e militari provenienti da diverse parti del mondo, con la propria divisa identificativa di ruolo e nazionalità, si preparano a scendere. Il calore e gli intensi colori della primavera neozelandese sono ormai soltanto un lontano ricordo. Sei ore di volo e tutto è profondamente cambiato, l’Antartide è qualcosa di unico, nessuno scenario mondiale può vagamente assomigliare a tutto questo. E’ il mio turno. Maschera scura contro i raggi UV, tuta tecnica rossa antivento del Programma Nazionale di Ricerca in Antartide, scarponi da -70 gradi, guanti in goretex ad alta tenuta, sembravano un abbigliamento ridicolo alla partenza a causa del clima primaverile della Nuova Zelanda. Ora trentaquattro gradi sotto lo zero, i veterani suggeriscono di coprirci il viso. La prima sensazione è un bagliore accecante che gradualmente si dissolve in una sterminata distesa bianca limitata unicamente all’orizzonte da un cielo azzurro che non sembra reale, reso ancor più inverosimile dalla maschera scura protettiva. Un’onda gelida investe il viso penetrando nei polmoni e raffreddando il corpo dall’interno, una sensazione che per qualche attimo lascia senza fiato. Poca neve, o meglio poche tracce di neve, solo ghiaccio, in realtà ciò che sembra neve è polvere di ghiaccio eroso dal vento. Sì perché l’Antartide è un continente desertico, il più ventoso e secco del pianeta, dove le precipitazioni sono scarsissime, e la poca neve che scende evapora dopo poco tempo oppure è immediatamente trasportata dal vento assieme a frammenti di roccia. Le ombre sono molto lunghe, il sole in questa stagione non tramonta mai, si abbassa e s’innalza sull’orizzonte intorno a noi, allungando le ombre ed accorciandole; è incredibile come cose di poco conto in questo luogo assumano così grande interesse. La discesa è rapida, il tempo di scattare qualche immagine e poi veniamo immediatamente richiamati in direzione di enormi automezzi che ci condurranno alla base. La pista d’atterraggio è collocata a circa un chilometro dalla base, su un braccio di mare ghiacciato di fronte al monte Discovery. I ricercatori italiani con me in Antartide sono cinque, Fabio Florindo, Franco Talarico, Massimo Pompilio, Paola Maffioli e Matteo Cattadori, questo ultimo un insegnante, il primo italiano in Antartide. Partecipiamo in rappresentanza dell’Italia al progetto internazionale ANDRILL, in collaborazione con gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda, la Germania e l’Inghilterra per un totale di circa 100 ricercatori tra on-ice e off-ice. Lo scopo del progetto è sommariamente quello di studiare le variazioni del clima negli ultimi 40 milioni di anni. Da molti anni ormai l’Antartide è considerato un laboratorio naturale, i sedimenti marini intorno al continente infatti rappresentano un archivio naturale all’interno del quale sono registrati i principali cambiamenti climatici succedutisi nel passato sul nostro pianeta. E’ con questi intenti che siamo partiti per la missione, con la responsabilità di portare conoscenze nuove su questi problemi, perchè la ricostruzione del passato è la chiave per comprendere meglio eventuali scenari futuri, alla luce anche del riscaldamento globale che sta cambiando il nostro pianeta.

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