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OGNI STORIA HA LA SUA CONCLUSIONE…

ANDRILL MIS night shif group with last core

1284,87 metri di profondità è il record raggiunto da ANDRILL il 26 dicembre 2006, un risultato che rimarrà indelebile nella storia scientifica. In questi giorni di preparativi per il ritorno, i ricercatori sono indaffarati nella stesura dei rapporti per la costituzione dell’Initial Report, che verrà presentato nel prossimo mese di aprile a Tallahasse, in Florida, durante una specifica conferenza internazionale. Questo periodo di transizione e di preparazione al rientro è soprattutto caratterizzato da comunicazioni mediatiche. I media neozelandesi, fortemente coinvolti per motivi di interesse economico in ANDRILL, hanno annunciato per primi il traguardo raggiunto, esagerando però con annunci espressi a caratteri cubitali a riguardo di possibili catastrofici scenari individuati nel database preliminare. Una situazione creatasi a causa dell’entusiasmo provocato dai nuovissimi e sorprendenti dati, ma soprattutto perché in questo periodo le coste della Nuova Zelanda sono inspiegabilmente invase da iceberg, la cui presenza viene giustamente attribuita al processo di riscaldamento globale. Anche negli Stati Uniti la consapevolezza di un processo di riscaldamento in fase avanzata ha amplificato l’informazione relativa al progetto. Dai nuovi dati preliminari sembra che, contrariamente a quanto pensato finora, la calotta polare reagisca istantaneamente al riscaldamento globale, riducendosi a discapito di un innalzamento del livello delle acque marine. Sull’onda di queste affermazioni vengono contestualizzate numerose notizie a riguardo di possibili effetti del “Global Warming”. Pochi giorni fa è stata diffusa la notizia che nel Golfo del Bengala l’innalzamento del mare ha cancellato l’isola di Lohachara, costringendo gli abitanti ad una definitiva evacuazione. Nello stesso periodo è stata inoltre confermata e diffusa la notizia di un iceberg di 66 chilometri quadrati staccatosi dal Canada, che si sta spostando nell’Artide. Anni fa, mentre procedeva la stesura della mia tesi di dottorato, sui media trovava ampio spazio la notizia che riguardava il distacco dalla Penisola Antartica di un iceberg, grande quanto la Valle D’Aosta, e la frantumazione della lastra di ghiaccio denominata Larsen B, documentata da immagini satellitari. Questa notizia è stata etichettata da alcuni come normale processo naturale, mentre da altri come un primo evidente sintomo di malessere del nostro pianeta, al pari di una febbre che lenta ed inesorabile si alza senza destare eccessive preoccupazioni, procurando sintomi blandi che spesso si tende a trascurare. La mia interpretazione mi ha portato a considerare quel fenomeno come esempio al quale allacciare tutto un discorso di ricerca micropaleontologica, volta alla comprensione di quali fenomeni climatici trascorsi potessero essere utili per capire scenari futuri. Nulla di più attuale. Oggi ANDRILL rimarca questi concetti conosciuti, puntualizzando con grande precisione le relazioni tra tempistiche e variazioni di temperatura, tra massa glaciale e innalzamento del livello marino, aggiungendo informazioni in passato inimmaginabili. L’Antartide è oggi il miglior laboratorio naturale per effettuare simili studi: da qui provengono i dati relativi alle analisi della concentrazione dei gas nelle bolle d’aria imprigionate negli strati di ghiaccio, un netto parallelismo tra incremento di anidride carbonica e temperatura. Credo comunque che un attento osservatore possa facilmente cogliere testimonianze del riscaldamento globale considerando, per esempio, gli arrivi anticipati degli uccelli migratori, oppure, nel caso di alcune specie migratrici, della loro trasformazione in stanziali. Sono inequivocabili indizi anche l’incremento di specie di pesci tropicali nel Mar Mediterraneo o i problemi d’acqua alta a Venezia, causati dall’innalzamento continuo del livello medio del mare (oltre a fattori più locali), o ancora la desertificazione che dal nord Africa si spinge verso l’Europa, chiaramente manifestata anche nello stato sempre più precario dei fiumi europei. Nel complesso un vasto insieme di piccoli sintomi che, come accade all’inconsapevole malato, si tende a trascurare fino al momento in cui la malattia diventa difficilmente curabile o addirittura irreversibile. ANDRILL venne progettato a suo tempo con questi intenti, per la prima volta un complesso progetto scientifico è stato affiancato da comunicazioni mediatiche e da interventi tesi alla didattica informativa. In questi mesi ho visto ricercatori all’opera, insegnanti in videoconferenza con studenti appassionati e vogliosi di conoscere anche gli intimi dettagli delle operazioni in corso, siti internet pubblicare le informazioni più disparate (e spesso strampalate). Sono stato partecipe anche di un collegamento in diretta con la commissione ONU per un resoconto preliminare in vista dell’appuntamento fissato per gennaio 2007 a Parigi, dove esponenti delle Nazioni Unite renderanno pubblico il nuovo rapporto sul cambiamento del clima che prevede un incremento variabile da 2 a 4,5 gradi centigradi entro il 2010, come già anticipato la scorsa settimana da Le Monde e dal Corriere della Sera. Credo che tutto questo sia sufficiente per rimarcare l’importanza della ricerca scientifica, con particolare riferimento a quella rivolta a progetti di estrema attualità. Mi accingo in questa fase a fare i preparativi per il rientro, carico di un bagaglio d’esperienza fondamentale per la partecipazione a nuove ricerche, con quantitativi consistenti di campioni utili per approfondire gli studi paleoclimatici presso l’Università di Parma e per costituire una nuova sezione “Antartica” nel Museo di San Daniele Po (CR). La consistente raccolta fotografica effettuata, consentirà anche a nuovi interessati di sentirsi coinvolti e partecipi nei confronti di un ambiente tanto unico quanto raro, al contempo ricco di fascino naturalistico e spietatamente ostile alla vita. Partirò, tempo permettendo, con tutto il gruppo di ricercatori il 4 gennaio dal nuovo aeroporto di McMurdo allestito giorni fa in sostituzione di quello collocato di fronte alla base sulla banchisa, quest’ultima ormai resa troppo sottile dall’estate australe per continuare a sostenere carichi enormi come gli aerei C130 o C17. Ho pensato moltissimo a che cosa mi mancherà di più di questo luogo una volta tornato. Sono certo che troverò molte difficoltà a rientrare nel traffico urbano, nel caos dato da televisioni, da cellulari, da una reperibilità continua e da quant’altro. Mi mancheranno di certo gli ampi spazi, il suono unico del vento, i colori netti e contrastati e lo stupore improvviso che si prova ad ogni incontro col nuovo e con l’ignoto. Non so se questa esperienza si ripeterà in futuro, quello che è certo è che il mio lavoro di ricerca non terminerà con essa, ma seguirà quel filo conduttore che inaspettatamente ha già connesso il piccolo San Daniele Po al continente più freddo e lontano del pianeta.

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