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COSE DELL’ALTRO MONDO…

La missione ANDRILL SMS è ufficialmente iniziata da oltre 10 giorni, e non senza qualche intoppo. Ai problemi tecnici legati ai voli per il raggiungimento della Nuova Zelanda, si è aggiunta la più importante e, speriamo, reversibile mancanza del co-chief (capo progetto) italiano, il Dr. Fabio Florindo dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia di Roma. In sua mancanza è il veterano di maggior esperienza a farne le veci, incarico preso responsabilmente dal Professor Franco Talarico dell’Università di Siena.
Lunedì 8 ottobre, in seguito ad una riunione con l’altro capo progetto ed il responsabile scientifico della missione, oltre che a informazioni incoraggianti giunte dal Drill Site, si è deciso di accompagnare il gruppo distaccato di tecnici e ricercatori che opererà sulle carote direttamente dopo l’estrazione al sito. Ottanta chilometri, tra andata e ritorno da percorrere con un pistel bully, cingolato molto versatile, a 8 posti, in grado, grazie all’ampia superficie di appoggio, di percorrere lunghe distanze su ghiaccio spesso anche 80 centimetri.

La responsabilità del trasporto viene presa dal capo progetto italiano, il quale richiede un collaboratore per il ritorno, infatti le uscite con automezzi su ghiaccio devono essere effettuate sempre da persone che viaggiano almeno in coppia, per motivi di sicurezza. Decido di accettare l’offerta proposta in vista anche della necessità, da parte del ruolo da me rivestito, di conoscere le persone con le quali si dovrà più spesso collaborare.
Si parte alle 14.00 ora locale, la giornata è splendida con un sole brillante e in assenza di vento, nulla a che vedere con la terribile sera prima, in cui un vento fortissimo spazzava il ghiaccio marino sollevando una polvere finissima che azzerava la visibilità.
In casi del genere nessun automezzo viene autorizzato a lasciare il proprio posto, così si è deciso di partire soltanto dopo aver appurato che le condizioni meteo per le prossime ore erano sicure.
Partiamo in 7, due italiani, due colleghi statunitensi, un neozelandese ed una tedesca. Il viaggio è molto lungo, circa 2 ore per percorrere 40 chilometri su una strada tracciata circa un mese fa, quando la carovana di container ha attraversato la baia di McMurdo per trasportare il Drill site nel luogo prestabilito. Il ghiaccio marino è perennemente sferzato dal vento, eroso e modellato in forme aerodinamiche chiamate sastrugi che ne rendono la superficie frastagliata e tagliente. Il viaggio quindi, grazie ai cingoli, ai solchi della strada ed ai sastrugi è una vibrazione continua che lascia la tremarella anche dopo qualche ora dalla fine... Ma lo scenario è strabiliante.
Mentre scrivo queste poche righe riguardo le immagini scattate, fatico a convincermi che sia lo stesso mondo che tutti conosciamo. Il ghiaccio, bianco e polveroso è disturbato nella sua omogeneità da chiazze “sporche” di sedimento, polvere di rocce vulcaniche trasportata dal vento ed accumulata in banchi poi solidificati. In lontananza, sull’orizzonte, strane gibbosità emergono cristalline dalla superficie piatta. Lastre di ghiaccio vetrose, azzurre come il mare si sollevano a formare piccole dune cristalline fagliate longitudinalmente secondo la direzione di avanzamento dello stesso.
Viaggiamo ormai da ore sul mare, una lastra solida che rende difficoltosa la distinzione delle isole che costeggiamo. Black Island, White island, il Monte Erebus, la catena Transantartica con i ghiacciai che scendono dalle valli e che tutti insieme alimentano l’Ice shelf, cioè il ghiaccio marino. Tante colate fluide che si riuniscono in un unico bacino a scorrimento lento e che si espande fino a latitudini in cui la temperatura è tale da scioglierlo. Mi sono incantato guardando l’Erebus. Un vulcano alto oltre 3700 metri sormontato da una cappa di fumo giallastro che fuoriesce dal cratere. La montagna sembra galleggiare perché la base è nascosta da nuvole basse. Capisco perché alcune popolazioni venerano divinamente questi fenomeni naturali la cui bellezza non ha paragone alcuno.

Lasciato il personale al sito, e svolto il breve colloquio con i colleghi, ci rimettiamo subito in moto per tornare alla base, da ovest infatti, coltri di nubi basse avanzano preoccupanti. Partiamo comunque in tranquillità, scambiandoci informazioni scientifiche, esperienze personali, valutazioni geologiche e pettegolezzi divertenti, riosservando lo scenario da poco attraversato non mancando di chiederci se mai un giorno questi luoghi li potremo rivedere.
L’Antartide è un luogo prezioso, chi ha la fortuna di visitarlo raggiunge la consapevolezza di una ricchezza per l’umanità che non può essere paragonata ad alcun valore economico. Trovarsi soli, in piedi su una crosta di ghiaccio spessa molti metri, su un mare profondo anche mezzo chilometro e sotto un cielo blu cobalto lascia interdetta la mente, sembra far mancare ossigeno al cervello anestetizzandolo e costringendolo a rallentare, a tranquillizzarsi, come se la natura, da sola, imponesse un attimo di meditazione.

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