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UNO, DUE, TRE METRI...



15 ottobre 2007. Ho dormito forzatamente l’intero pomeriggio, in attesa della carota che secondo previsione arriverà verso le 22.00.

Da diversi giorni un virus influenzale mina la mia salute, nulla di grave sia chiaro, ma il malessere non consente certo di svolgere al meglio il proprio lavoro. Il mio primo virus polare, la mia prima visita medica antartica, esperienze delle quali avrei fatto volentieri a meno ma che il caso ha voluto si compissero. L’obiettivo da diversi giorni era giungere in forma al momento dell’arrivo dal Drill site, con l’elicottero, della prima scatola di alluminio contenente i cilindri di roccia. Tre metri soltanto, pochi per gli esigenti ricercatori, giusti per la mia squadra che inesperta si presta ad imparare il nuovo lavoro. Tre metri rappresentano quindi un’ottima palestra per i ragazzi.
Arriva la chiamata in laboratorio, l’elicottero sta atterrando in attesa dei curator col pickup a prelevare il carico. Partiamo in due, i due capi squadra, Simon Nielsen, palesemente emozionato ed io. Gli altri che dovrebbero attendere in laboratorio non resistono e si danno alla rincorsa di qualche immagine raggiungendo l’eliporto a piedi. C’è trepidazione, pur non riservando al momento alcun lavoro, la maggior parte dei ricercatori sono qui, affamati di notizie, in attesa di qualcosa di importante che però viene immediatamente trasportato nel laboratorio di taglio e registrazione. Qualche curioso riesce ad infilarsi nel laboratorio per qualche foto e dopo breve tempo una piccola e vociante folla cerca di farsi largo. Interrompo il lavoro appena iniziato di riordino dei campioni per chiedere gentilmente lo sgombero della stanza, lasciando i curatori ai propri ruoli. Nessuna recriminazione, ognuno abbandona lo spazio occupato sottostando a ruoli e gerarchie imposte dall’organizzazione del progetto.
Iniziamo a riorganizzare la sequenza stratigrafica, tre metri di carote, una decina di sacchetti contenenti frammenti di altre carote non estratte intere. Impieghiamo un po’ di tempo a capire l’ordine dei campioni ma poi la matassa viene facilmente sbrogliata, ed allora a registrazione ultimata si passa al taglio.
Con metodologia e lentezza quasi estenuanti si impartiscono i necessari insegnamenti ai colleghi mentre ci si avvia al completamento del lavoro che ha reso le carote presentabili al gruppo dei sedimentologi in ansiosa attesa.
Vedere le litologie o le caratteristiche di strati di roccia giacenti sotto il fondo del mare dal milioni di anni, e dopo aver trascorso ben 4 anni a progettare ed ipotizzare, è in assoluto la primaria necessità di un ricercatore.
Per dirla tutta non ero emozionato. Il lavoro che mi attende lo conosco, conosco anche eventuali caratteristiche delle rocce, e sembra che l’esperianza dello scorso anno abbia un po’ snaturato l’idea di Antartide e di avventura che riportai con me nei ricordi della passata missione. Concretezza, e maggiore responsabilità sono le parole d’ordine di quest’anno.
Mentre scrivo le carote sono già sotto indagine sedimentologica. Sonia Sandroni, appositamente risvegliata dal torpore televisivo, sta lavorando con gli altri del gruppo al completamento della descrizione dei tre metri di carota che poi verrà presentata ai ricercatori del turno giornaliero. La giornata si concluderà alle 10.00 di domattina e a parte uno stop forzato di 3 ore del pomeriggio, rappresenta una delle più lunghe mai trascorse in Antartide.

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