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RIO

Rio de Janeiro dall’aereo è un’immensa macchia grigia penetrata ed invasa, in ogni sua direzione, da una fitta foresta tropicale.

Lo stereotipo di Rio città di mare, belle donne, cocktail e samba non costituisce la realtà bensì un opuscolo turistico di cui la parte litorale della metropoli campa da sempre.

Chiamare Rio città è profondamente sbagliato. Definirla invece un’infinita metropoli fatta di città nella città, di divari economici e sociali evidentissimi, di grattacieli altissimi ad ombreggiare sterminate distese di baracche e case incompiute, è una descrizione reale. Contrasta l’enorme divergenza contraddistinta da grattacieli altissimi e quartieri sterminati fatti di mattoni comprati all’opportunità e di case mai finite con cisterne d’acqua sul tetto.

Il mare freddissimo penetra nella baia fino ad incunearsi in stretti canali attraverso una sfumatura impercettibile dall’azzurro al nero. Ci si accorge del nero malsano e tossico dei canali soltanto quando l’odore acre di fogna e limone viene portato ogni dove dalla brezza calda e umida.


La vegetazione tropicale intorno a Rio è un’abbondante biodiversità, una feconda e grassa natura, straripante al punto da invadere la città fino a dare l’impressione di un suo difficile contenimento. Si coglie appieno, osservando le orchidee aggrappate agli alberi delle aiuole, la certezza che un breve periodo di assenza di vita umana garantirebbe alla natura di riprendere il sopravvento incrostando di verde il grigiore già butterato della metropoli.


Frutti carnosi, colorati, opulenti, fiori giganti, foglie enormi, grasse, colori eccessivi, sgargianti, anomali, quasi innaturali raccolti in intrichi vegetazionali fatti di decine di specie intrecciate tra loro e distinguibili soltanto quando, alla stagione opportuna, simboli fecondi diversissimi tra loro fioriscono ravvicinati. E gli animali? Bizzarri, assurdi, colorati e dalle dimensioni anomale, che se osservati isolati dal loro ambiente sembrano assurdità evolute in chissà quale direzione; ma basta un loro naturale accostamento alla flora per far comprendere di quale frutto si nutrono, a quale predatore sfuggono, a quale fiore si ispirano o di quale pianta usufruiscono per nascondersi.

Rio è una estesa ed eterogenea colonia umana strappata ad un superorganismo naturale: il biotopo della foresta tropicale.


Colpisce di Rio la disparità sociale, il classismo esasperato della parte benestante dei suoi abitanti, la necessità di nascondere, di mascherare, di contraffare i propri lati negativi dietro a stereotipi globali come la spiaggia bianca, la caipirinha fresca, la bellezza ambrata, o la felicità di massa del carnevale.

La realtà è che l’apparente felicità di Copacabana, fatta di belle donne, spiaggia, sport ed eccessi, si spegne ad orari fissi giornalieri, gli stessi dello sfrenato consumismo, mentre dalle favelas, nonostante tutto, ogni giorno al tramonto, si innalzano gli aquiloni.

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