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Tacabanda Uomo Orchestra...

E’ passato poco meno di un mese dalla presentazione ufficiale, attraverso un concerto-spettacolo teatrale di assoluta qualità all’Arena del Sole di Roccabianca (PR), del nuovo album dei Me Pek e Barba.
Perché l’Anello mancante dovrebbe occuparsi, in modo anomalo per i suoi contenuti, della “recensione” di un album musicale? Perché il lavoro di questi ragazzi, è molto più di un cd di canzonette, è il succo concentrato spremuto dal Mondo Piccolo di Giovannino Guereschi, storie di vita, di abitudini, di persone e perché no, di misteri della bassa, quella terra a cavallo del Po che rappresenta un unicum nel suo genere e dalla quale il Blog trae spesso ispirazione e contenuti.
Unico rammarico è che, purtroppo (o per fortuna), queste canzoni possono essere comprese, fino in fondo… in fondo, solo da coloro che vivono nella/la bassa. Gli altri possono accontentarsi di ascoltare eccellente musica.
Quattordici canzoni, tutte connesse da un esile filo conduttore: il mistero, anche se ognuna risulta straordinariamente indipendente dall’altra. Si tratta di storie di persone, di fatti, di sogni, di cose che l’ormai matura Band, coadiuvata da eccellenti personalità artistiche, è riuscita ad assemblare coniugando la consuetudine padana a sonorità extraterritoriali come il folk, la ska, la tarantella, in un amalgama che ascoltato e riascoltato diviene, effettivamente, l’unico suono possibile per descrivere l’idea già ampiamente sviscerata da Guereschi.
Due testi su tutti a coronare questo interessante lavoro: La Madgona dal Casal (F. Romano) e Tacabanda e Orsanti (S. Pezzarossa).
Il primo un ritratto caratteristico, dettagliato ed affascinante di quelle figure femminili, che si collocavano tra la strega e lo sciamano e che, nelle vecchie civiltà della bassa, risultavano sempre presenti, la Magdona del Casal per Roccabianca o la Gnaga di San Daniele Po (CR) ad esempio. Conobbi personalmente quest’ultima signora, esile e tremolante vecchina, sempre vestita di nero, vedova, chiusa nella sua umile e misteriosa casa di cascina, con la fama di guaritrice che con vigorose manipolazioni, gesti scaramantici, mani contorte dall’artrite come i rami di un albero riusciva, attraverso una forza non comprensibile, a risistemare slogature o fratture o a perpetrare guarigioni come il fuoco di Sant’Antonio o altro, esattamente come raccontato da Federico Romano nel suo testo.
Erano, queste donne, figure queste capaci di tramandarsi di generazione in generazione questi poteri sovrannaturali… o queste “reputazioni” mistiche capaci di generare timori e reverenzialità o comunque diffidenze particolari: donne da cercare nel bisogno ma da evitare nella collettività.
E poi gli Orsanti, uomini e padri capaci di lasciare i propri cari, immersi in una faticosa e devastante miseria per avventurarsi in pellegrinaggi infiniti attraverso l’Europa per guadagnare denari grazie a spettacoli proto-circensi con animali strani ammaestrati come scimmie, orsi, cammelli o anche zebre, rarità raccolte attraverso scambi e commerci propedeutici agli spettacoli.
Certamente il giudizio sull’album ed il focus su queste due canzoni è totalmente personale. Gli altri brani non sono da meno per ironia e qualità dei contenuti, ma questi due testi, accompagnati da sonorità azzeccatissime, sanno suscitare lo spirito della ricerca; sembra necessario, dopo averle ascoltate, sviscerare il mistero e la storia per saperne di più. E così è stato con gli orsanti. Partendo da un eccellente testo*, son finito al Museo degli Orsanti di Compiano (PR), per trovarmi poi immerso nella lettura dell’eccellente racconto di Arturo Curà “Orsanti”, stampato in seconda edizione lo scorso anno (A. Curà, 2011 “Orsanti” Book Sprint Edizioni). Storia affascinante e romantica quella degli orsanti che sottintende miseria, ed estenuante fatica sia per gli uomini in viaggio, sia per i famigliari durante l’infinita attesa. E’ questo uno straordinario esempio di intreccio di vite tra la bassa pianura e l’Appennino parmense, un connubio portato nelle più grandi città d’Europa: percorso che flebile, alcuni luoghi, ricordano con detti o proverbi o sporadici documenti sparsi alla rinfusa. Nel Cremonese, dove la tradizione di questi spettacoli itineranti era ben radicata, un detto recita ancor oggi: “ Go gnanca du ghei per fa balà na sumia…” (Non ho neanche due soldi per far ballare una scimmia).
“La scatola magica”, contiene tutto questo mondo e molto altro. Dopo averla ascoltata e meditata, stupisce che una tale ricchezza dei contenuti ed un simile spessore di artisti produttori ed interpreti, possa essere faticosamente contenuto in sittanto piccole dimensioni.

* Tacabanda e Orsanti (S. Pezzarossa)

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