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PESCE D’ACQUA DOLCE (racconto)


Ogni pomeriggio Aristide era solito passare nella via lento e assorto. Era un tipo anonimo se non fosse stato per l’aspetto particolare del capo che attirava oltremodo l’attenzione malevola della gente. La sua testa infatti era grande, appiattita, con occhi piccoli situati poco sopra il naso e separati da un’ampia fronte, tale da farli sembrare laterali.

Vestiva spesso con una camicia bianca a quadretti grigi tendente al verde e jeans fuori moda sostenuti sulla pancia da una cintola di cuoio e stirati con una piega che, prolungando quella della camicia, costituiva una lunga linea laterale. Per questo suo aspetto ricordava un pesce, un carassio probabilmente.

Da molti era considerato il matto del paese, anche se di pazzia non ebbe mai occasione di manifestarne. Le persone però lo evitavano a prescindere ignorandone i tragici trascorsi. Proprio a causa di queste ferite di vita era tornato a vivere con la madre all’ultimo piano di un condominio popolare in un quartiere di nuova fattura.

Faccia di Pesce lavorava come guardiano e portinaio in una azienda presso un paese vicino, facendo turni fissi che ne scandivano la vita. Grazie a questa abitudinarietà, sempre alla stessa ora, lo si poteva osservare ogni giorno, metodico e ripetitivo, proprio come un pesce vissuto in cattività.

Con una borsa in mano, immancabile contenitore del pranzo di lavoro, la sera raggiungeva casa nell’indifferenza; come un carassio sembrava vivesse in un perenne torpore invernale sul fondo di uno stagno. A volte capitava che altri pesci lo incrociassero ignorandolo ma anche che venisse da alcuni irriso per il suo aspetto. Sempre senza reazione alcuna.

Condusse così gran parte della sua vita: solo in una torbida vasca affollata.

Nell’acquario usciva di casa, andava al lavoro, ritornava e, fino al mattino seguente si rintanava nel rifugio materno. Giorno dopo giorno nella stessa monotonia.

Non compì mai un’azione eclatante, tranne quella volta in cui, in un giorno d’autunno, prese la sua bicicletta allontanandosi da casa per non farvi mai più ritorno.

E’ andato ad annegarsi nel Fiume! – lo liquidarono le vecchie carpe specchio durante il filoos quotidiano.

Ma quel giorno, Faccia di Pesce trovò invece il coraggio di tornare nel proprio mondo: un grande fiume privo di barriere, con acqua limpida e ossigenata e con anse e lanche tranquille nelle quali vivere indisturbato.

Faccia di Pesce era finalmente sereno.

Al riparo dell’ombra della castagna d’acqua aveva trovato una propria dimensione, priva di regole e di imposizioni, un mondo ideale dove i pesci erano tutti uguali e nessuno rimarcava differenze.

Si è annegato buttandosi dal ponte – disse un lurido pesce gatto dal pantano di un bar – non per niente lo chiamavano Bevilacqua!

Nessuno lo aveva mai realmente conosciuto, nemmeno i pesci che da una vita gli nuotavano intorno, tanto che rimasero tutti increduli di fronte all’eclatante gesto di ribellione.

Ma Faccia di Pesce di cognome faceva Persico, altro che carpa o carassio...

Faccia di Pesce Persico si dimostrò tutt’altro che un pigro e depresso pesce di fondo come tutti pensavano, era invece un esemplare paziente e reattivo, con una livrea grigia tendente al verde e splendide pinne arancioni che risaltavano nell’acqua limpida come il sole riflesso al tramonto: un vero Re del fiume.

Il Pesce Persico reale è il pesce d’acqua dolce più bello e lo si può ammirare soltanto in acque limpide e ossigenate, mai in bacini chiusi e torbidi e men che meno in un acquario dove non potrebbe sopravvivere.


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