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LA MATTANZA...


Non credo sia follia, penso più che altro che si tratti della consapevolezza dell’esistenza di un confine e della possibilità di superarlo, di prevaricare verso una realtà ormai trascorsa, raggiungibile soltanto ricongiungendo rari ed occasionali capisaldi che dal fiume sporadici riemergono.
Come molti atri giorni sono appostato in riva al fiume, in un “rifugio” virtuale perché psicologico, uno spiazzo sterrato meta domenicale di chi cerca tranquillità e la sola compagnia del fiume, in un misto di nebbia e pace che diviene dualismo temporale non appena ci si affaccia sull’acqua. Pochi curiosi su un lato, qualche pescatore sull’altro, una poiana appostata, qualche gheppio in caccia, stormi di piccioni che fuggono dalla messa domenicale e poi la corrente, lenta, instancabile, malata ma ininterrotta, nello scorrere lento ed inesorabile di un fiume che evolutosi nel tempo, è rimasta l’inaffidabile, impassibile, pericolosa ma necessaria risorsa per la valle. Ci si affaccia su di esso dal riparo, ricercando quell’armonia che confondeva l’uomo con gli altri animali, in un equilibrio flebile che connetteva innumerevoli destini. Nascosto da ore, grigio di fango, immerso in poca acqua osservo dal canneto l’area circostante. Moltitudini di colori si stagliano davanti in un ambiente surreale, afoso, con l’insopportabile umidità fedele compagna delle zanzare, la cui presenza è rimarcata dal tanfo greve di stagni, muschi e funghi. Un tutt’uno con la natura, parte integrante di essa, la pelle scura e l’altezza limitata consentono un mimetismo totale, nulla lascia presagire gli effetti che la nostra specie avrà tra qualche tempo sull’ambiente, quando l’amata arteria stracolma di pesci argentei diverrà un’insalubre vena di fluidi velenosi. Sopraffatto dalla noia mi lascio trasportare dall’organizzazione indaffarata di una coppia di castori che meticolosi tranciano giovani olmi sbarrando il ramo minore del fiume che si intreccia al corso principale, prima del meandro di fronte l’appostamento. Meticolosi ma imprevedibili, in un continuo d’immersioni e faticosi trasporti, i castori cambiano l’ambiente circostante a proprio piacimento per necessità, senza mai prevaricare l’invisibile limite che la mia gente inconsapevole viola. La calma s’interrompe, un frastuono rapido dalla parete alta si staglia in volo, un allarmismo infuocato che spinge urlanti in cielo tutti i gruccioni della colonia estiva. Uno stormo disorganizzato che spaventato prende ad urlare senza una precisata ragione, allarmando gli altri animali, causando qualche fuga preventiva e numerosi nascondigli. L’acqua comincia ad incresparsi da monte a valle, accompagnata sulla riva da un pulviscolo strano, sollevato da una furia che nulla ha a che vedere col vento la cui cronica assenza ispessisce la cappa di calore soffocando la valle. L’istinto dice di scrutare il nord, verso le montagne innevate che si intravedono sovrastando la foresta da qualche terrapieno fluviale. In lontananza la nube grigia si alza in un pullulare di rapide gibbosità che l’umidità prontamente appesantisce limitandone l’espansione. Gli alberi si flettono sotto la furia avanzante, è tutto un terrore quell’orda inesorabile che avanza. Poco di fronte ad essa, uccelli che dalle fitte fronde spiccano rapidi in volo, cervi che scattano di lato liberando la via che l’avanzata sta tracciando. Esco dall’acqua sollevando il viso, il pantano ricopre omogeneamente l’ambrato della pelle, le foglie sulla schiena rendono invisibile ed impercettibile qualsiasi movimento. La mano destra scorge il palo saldamente conficcato nel fango sollevandolo lentamente, facendo scattare di paura soltanto le due farfalle colorate delicatamente poggiate sul filo giallo della lama, resa ancor più lucida e tagliente dal calore del sole il cui bagliore ne evidenzia il raffinato ritocco.
Un fischio improvviso, ma il castoro allarmato si era immerso già da tempo. Da altri due lati contrapposti al rifugio quattro occhi bianchi si aprono nel buio del canneto rendendosi visibili e permettendo una riorganizzazione di ruoli ed azioni che verranno eseguite al momento opportuno.
L’attesa si fa insostenibile, l’acqua comincia a ribollire, il frastuono si scontra col cielo come se il fiume si stesse sollevando violentemente. Le lance ormai salde in mano attendono l’attimo per essere scagliate, ormai da tempo puntate verso un ipotetico obiettivo. Si cerca di intuire nella morfologia del fiume eventuali passaggi preferenziali già comunque intravisti durante la scelta dell’appostamento. Un altro fischio, i bianchi occhi nascosti nel canneto di fronte osservano attentamente una direzione, certi di aver individuato la preda. Ormai, in un crescente di cruenta eccitazione ci si accinge ad intervenire, a scattare in piedi puntando il più debole, lasciando le femmine gravide o i pericolosi giganteschi tori posti al perimetro di un branco che ha come concezione la protezione collettiva del più debole. Dobbiamo rimanere calmi, appostati, impassibili nel farci investire dalla mandria. La scelta corretta del rifugio sarà definita tale soltanto se rimanendo incolumi, potremo attaccare dal centro dello spaventoso gruppo.
E’ l’ora, i violenti animali sono a pochi passi, il frastuono è terribile, la visibilità a pochi metri, spruzzi di acqua e fango stanno per amalgamarsi con l’inatteso rossore del sangue. Passata la prima violentissima ondata di maschi adulti, uno scatto collettivo come il balzo di un predatore, fa sobbalzare la pianura, in pochi istanti la preda è individuata, e selci bollenti si conficcano profondamente divaricando le vertebre del potente dorso del bisonte, in un tripudio di urla, muggiti di dolore e l’abbaiare eccitato dei lupi che da sempre appoggiano la manovra in una simbiosi tutta naturale, dove il nostro successo è pari alla loro sopravvivenza. Da anni si è instaurata questa cooperazione, per questo hanno spinto la mandria nella giusta direzione, ormai il branco percepisce dove cacciamo, assaporando le ricche ricompense che l’uomo offre quando la mandria oltrepassa il confine.
Il fiume sanguina, la quiete è ritornata mentre la mandria, ormai lontana, è stata privata soltanto del necessario, con un prelievo mirato dettato dall’istinto e dall’esperienza del cacciatore. La sopravvivenza del villaggio come unico obiettivo di vita. Richiami concatenati si propagano fino in lontananza facendo avvicinare al luogo della carneficina altri del villaggio. Un bisonte è una preda ambita, un frutto che la pianura offre solo raramente, pur essendone abbondante. C’è bisogno dell’aiuto di tutti quanti, ognuno con un proprio compito, ognuno per ricevere la propria parte, per sfamare i propri piccoli o per se stessi, in una comunità che come un solo organismo è costituta da differenti parti che svolgono altrettanti ruoli, con l’unico obiettivo della sopravvivenza dell’organismo stesso. Le fredde e lunghe lame provenienti dalla lessinia vengono sfoderate in uno scintillare di zampilli rossi e di riflessi dorati incorniciati da un tramonto che segna la fine di una tremenda giornata di fatica e l’inizio della piacevole nottata fatta di avventurosi racconti e del tramandare di esperienze e tradizioni, intorno al focolare dove gravitano come i pianeti, legati da impercettibili forze al sole, tutti i membri del villaggio, in un tutt’uno di armonia che qualche tranquillo attimo di prezioso silenzio sul fiume può aiutare ad immaginare.


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