(http://www.sciencemag.org/content/342/6156/326.full)
“A Compolete Skull from Dmanisi, Georgia, and the Evolutionary
Biology of Early Homo” è il titolo di un articolo uscito giorni fa su Science e ripreso con
grande eco dalle agenzie di stampa e dai quotidiani, che contribuisce a migliorare, e ce n’era un gran bisogno, le conoscenze in merito ai crani fossili di ominidi rinvenuti “inaspettatamente”
a Dmanisi in Georgia tra il 1991 e il 2005.
Da subito, il ritrovamento di questi crani che, secondo le
conoscenze antropologiche d’allora, lì non sarebbero dovuti stare, aprì scenari importanti, retrodatando l’uscita dall'Africa dei primi ominidi e
suggerendo una prima evidente connessione, fino ad allora ipotetica, tra i
primi Homo africani e l’Homo erectus asiatico.
Ora, un’analisi più accurata, corredata da altri ritrovamenti,
ed in particolare del Cranio 5, straordinariamente completo, ha messo in luce
una forte variabilità intraspecifica della “popolazione” degli ominidi di
Dmanisi, evidenziando la presenza in questi fossili, di caratteristiche proprie
di almeno 4 specie già classificate di Homo: H. habilis, H. rudolfensis, H. ergaster e H. erectus.
L’articolo suggerirebbe quello che in molti temevano da
tempo, cioè che la suddivisione specifica del genere Homo fosse un poco “abusata”, concedetemi il termine, più per ragioni
di fama che per onestà scientifica. I crani di Dmanisi, data la loro
variabilità, suggerirebbero un accorpamento di specie in un’unica specie sola.
I titoli sulla stampa nazionale a riguardo dell’uscita dell’articolo
oggetto di questo post, sono stati a mio giudizio un poco avventati e
frettolosi di sbandierare sensazionalismo, perdendo per strada quello che è il vero e raffinato fulcro scientifico
dell’articolo in questione.
“DERIVIAMO DA UN’UNICA SPECIE!!!”
...sentenziano tutti
quanti.
E dove è la novità, mi viene da chiedere? Già lo sapevamo.
Quello che cambia è che l’albero che sta alla base dell’origine della nostra
specie progenitrice verrebbe “potato”, se ulteriori indagini lo confermassero.
Alcuni paleoantropologi di fama internazionale però, interpellati all'occasione, hanno dato interpretazioni molto diverse da quella proposta dagli autori dell'articolo. Tattersall, ad esempio, pensa che il sito di Dmanisi potrebbe includere più di una specie, e che il Cranio 5 rappresenti a sua volta una nuova specie, infoltendo ulteriormente il nostro cespuglio filogenetico. Ron Clarke dell'Università di Witwatersrand a Johannesburg, in Sud Africa, sosterrebbe che il Cranio 5 potrebbe essere incluso nella specie Homo habilis; mentre Fred Spoor del Max Planck Institute di antropologia evolutiva di Lipsia, in Germania, pensa che sia "ragionevole" chiamare Skull 5 H. erectus...
Si apprende quindi che non c'è nulla di definitivo o di definito come sbandierano i titoli della stampa locale.
Vorrei soffermarmi però su di un passaggio che mi è particolarmente piaciuto dell’articolo di Science e che riguarda l’accenno alla variazione di diversità
genetica delle specie appartenenti al genere Homo. Il prof. Telmo Pievani, in
un suo intervento al Darwin Day 2013 di San Daniele Po, riprendendo i contenuti
della mostra itinerante Homo sapiens,
evidenziò, con l’ausilio di ottime carte geografiche riassuntive di risultati
paleontologici e genetici, la dinamica migratoria di diverse specie umane in
diversi intervalli di tempo, mettendo in luce, chiaramente in riferimento a noi
(Homo sapiens), che la diversità
genertica va progressivamente diminuendo man mano che ci si allontana
geograficamente dal continente africano. Nell’articolo di Science, gli autori
riportano:
“For example, modern human
phenetic variation in western and eastern Asia is 95 and 85% of African variation,
respectively. The expansion of early Homo from Africa might have occurred at
longer time scales, so direct comparisons must remain tentative. Nevertheless, the
observation that Dmanisi conserves a substantial proportion of cranial shape
and its variation among early African Homo speaks for genetic continuity
between Africa and Eurasia”.
Dmanisi conserva fossilizzata, la memoria di un’antica
migrazione Africana da parte dei primi esemplari di Homo.
In particolare il Cranio 5 e gli altri membri del paleodeme di
Dmanisi, indicano che l’”early Homo” si
è diffuso dall'Africa stabilendo infine popolazioni stanziali in Asia
occidentale. Questa prima dispersione degli ominidi pre-data un aumento
significativo delle dimensioni del cervello.
Conclude l’articolo che ulteriori analisi saranno necessarie per
testare o rivedere le ipotesi derivate. Inoltre l’individuazione di paleodemi di ominidi e la
valutazione della variazione intra-demica, sarà la chiave per la comprensione
dei meccanismi dell'evoluzione e della dispersione geografica dell’uomo
preistorico.
Reference
Gabunia, Leo; Vekua, Abesalom; Lordkipanidze, David et al.,
2000. Earliest Pleistocene Hominid Cranial Remains from Dmanisi, Republic of
Georgia: Taxonomy, Geological Setting, and Age. Science 12 May 2000: Vol. 288
no. 5468 pp. 1019-1025. DOI: 10.1126/science.288.5468.1019.
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Early Humans. Science 18 October 2013: Vol. 342 no. 6156 pp. 297-298. DOI:
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Reid Ferring, Oriol Oms, Martha Tappen, Maia Bukhsianidze, Jordi Agusti, Ralf
Kahlke, Gocha Kiladze, Bienvenido Martinez-Navarro, Alexander Mouskhelishvili,
Medea Nioradze & Lorenzo Rook, 2007. Postcranial evidence from early Homo
from Dmanisi, Georgia. Nature 449, 305-310 (20 September 2007) | doi:10.1038/nature06134.
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